Le api nell’antico Egitto
Dal 3100 a.c., il profilo dell’ape operaia venne utilizzato nei geroglifici come simbolo topografico dell’Antico Egitto.
I primi disegni ritrovati mostrano un insetto con quattro zampe e due ali mentre la testa, il torace e le bande sull’addome sono rimarcate, così come le antenne. Sono state trovate raffigurazioni di alveari risalenti al 2400 a.c. Di quel periodo sono quattro le rappresentazioni con tale soggetto; una di queste mostra come si usasse l’affumicatore per tranquillizzare le api.
Inoltre, poiché i favi estratti dagli alveari sono di forma tondeggiante, l’apicoltore doveva sapere come posizionare la famiglia d’api in modo da ottenere favi perpendicolari all’arnia cilindrica, messa orizzontale. L’apicoltore, probabilmente, aveva già capito che le api costruiscono i loro favi con una distanza tra gli stessi costante.
Anche se non vi sono scritture sulle api e l’apicoltura, le rappresentazioni grafiche suggeriscono che la tecnica apistica raggiunse livelli più alti che in ogni altro posto, nello stesso periodo (2400 – 1400 a.c.).
Ancora oggi l’apicoltura tradizionale nell’Alto Egitto è rimasta simile a quanto descritto ed un metodo similare d’allevamento è in uso, ai giorni nostri, anche sulle coste del Nord Africa.
Antica Grecia
Nella Grecia antica si riteneva che ogni colonia contenesse un’ape più grande, che veniva considerata il leader o il re e che si pensava fosse di sesso maschile.
I primi testi greci elogiavano quest’ape più grande per la sua abilità di leadership e per la sua saggezza fuori dal comune.
Alcuni testi enumeravano e celebravano le caratteristiche femminili, altre quelle maschili delle api. In tutti i casi le api erano considerate come sottomesse al loro leader, da cui non volevano e non potevano separarsi.
Le descrizioni ritrovate, in ogni caso, contengono una interessante quantità d’affermazioni importanti: si spiegano le caratteristiche del comportamento d’Apis mellifera abbastanza correttamente, anche se mancavano sulle api alcune basilari cognizioni biologiche e fisiologiche.
Il Libro IX della Historia animalium, parlando delle api, dice che: le api visitano i fiori, ma solo un tipo per ogni viaggio.
Le api raccolgono propoli, “lacrime” o linfa essudata dagli alberi. La usano per restringere l’entrata degli alveari quando è troppo ampia.
Le api trasportano acqua. Le api liberano i loro escreti in volo. Quando i fuchi volano in alto nell’aria compiono ampi giri circolari. A proposito degli sciami, il libro dice che quando uno di essi si perde, ritorna indietro per la sua strada e, aiutandosi con l’olfatto, ritrova il suo leader.
Sulle colonie lo stesso libro dice che: c’è una divisione del lavoro nell’alveare: alcune api fanno cera, altre miele, altre polline (pane per le api), altre modellano i favi.
Le api stoccano, oltre al miele, un altro cibo, chiamato pane delle api, che esse trasportano sulle loro zampe.
Quando si è in piena fioritura, esse costruiscono cera. Quando si usa il fumo, esse divorano il miele più voracemente. Le api costruiscono celle per il re solo quando c’è molta covata. Le api che muoiono vengono rimosse dall’alveare. Quando il miele scarseggia, le api espellono i fuchi.
Nel 100 a.c., Zenodoro di Sicilia dimostrò che, delle tre figure regolari che riempiono completamente un’area, l’esagono ha la maggiore area. Nel Periodo Ellenistico (323 – 31 a.c.) era diffuso e prevalente poi il concetto di “bugonia” (nato da un bue). Tale idea, presumibilmente, traeva la sua origine dalla cultura e conoscenze della civiltà egizia. Per produrre uno sciame d’api, un bue doveva essere ucciso senza romperne la pelle e il corpo dell’animale doveva essere avvolto con delle erbe e chiuso in una speciale costruzione per nove giorni, trascorsi i quali sarebbe apparso uno sciame d’api. L’idea probabilmente nacque dalla confusione tra le api e i maschi d’Eristalis tenax e tra le larve d’api e quelle della Calliphora spp.
Antica Roma
I molti scritti ritrovati contengono svariate affermazioni simili a quelli dei testi greci, che supportano la tesi che i Greci furono la fonte delle conoscenze dei Romani sulle api.
Gli autori romani scrissero molto sulle api e sull’apicoltura, di essi ricordiamo solo i riferimenti bibliografici:
Varro (116 – 27 a.c.) Res rusticae, Libro III, 16.1-38.
Virgilio (70 – 19 a.c.) Georgiche, Libro IV.
Columella (60 d.c.) De re rustica, Libro IX, 2-16.
Plinio il Giovane (23 – 79 d.c.) Naturalis historia, Libro XI, 4-16; XXI, 43-49, e altro.
Eliano (morto nel 220 d.c.) De natura animalium.
Palladio (300 d.c.) Opus agricolturae.
Conoscenze sulle api fino al 1500
Un certo numero di scritti sulle api, frutto di civiltà mediterranee, sono andati persi, ma molti sono stati tradotti e preservati dagli Arabi che vissero in Spagna durante il periodo dell’invasione musulmana nel 711 fino alla loro espulsione nel 1492. Particolarmente importanti alcuni scrittori che vissero tra il 900 ed il 1100, i quali preservarono le conoscenze sulle api ed aggiunsero nuovi saperi. Avicenna (nato vicino a Bokhara in Uzbekhistan nel 980 e morto in Persia nel 1037) sapeva che i “re” vengono allevati in celle particolarmente grandi.
Ibn-al-Awam (Siviglia) dedusse che le api più piccole all’interno dell’alveare sono femmine e che hanno il pungiglione. Le api più grandi sono maschi e non partecipano alla produzione di miele. I “re” sono grandi circa due volte le femmine. Egli era consapevole inoltre che per l’apicoltore era più vantaggioso avere solo pochi “re” per ogni alveare.
Molti scritti greci furono tradotti in arabo; da questi si tradusse in latino ed i testi furono così diffusi largamente in Europa.
Nuove conoscenze sulle api tra il 1500 e il 1630
Dal 1459 in avanti in Europa furono stampati i libri. Nel 1513, Gabriele Alonso de Herrera, in Spagna, pubblicò una compilazione di scritti sull’agricoltura, opera di autori precedenti, e il V° volume di quest’opera è dedicato alle api. Esso riporta quanto scritto dagli autori greci e romani. Nel 1586, un libro scritto da Luiz Méndez de Torres, in Spagna, contiene alcune affermazioni di particolare interesse: “… l’ape. Che viene chiamata maessa o maestra, senza accoppiarsi* e senza il dolore del parto, produce un seme da cui si generano tre tipi di api – maestras, fuchi e api ordinarie- a seconda delle celle diverse in cui viene posto il seme…”. (* ovviamente l’affermazione non è corretta).
Nel frattempo, nel 1568 in Slesia, Nickel Jacob pubblicò un libro sull’apicoltura che includeva due nuove e significative osservazioni:
- Una colonia con covata o con uova di operaia giovane (anche aggiunta) può allevare un nuovo Weisel (nome maschile per indicare il leader della colonia).
- Quando un alveare viene posto in un luogo nuovo, le api imparano la loro localizzazione facendo dei voli nei dintorni.
Seguirono importanti scoperte in Italia, con l’invenzione del microscopio dovuta a Galileo (1564 – 1642); ma già prima di allora, Giovanni Rucellai (1475 – 1525) scrisse un poema, Le api – non pubblicato fino al 1539 – che descriveva ciò che egli aveva visto della morfologia esterna della api, utilizzando uno specchio concavo, compresa la proboscide e le ali. Rucellai parlava inoltre del leader come del re e mai come della regina.
Galileo fu membro di una società scientifica di Roma, piccola ma attiva, l’Accademia dei Lincei. Nel 1624 egli diede un microscopio al principe Federico Cesi, fondatore dell’accademia, che lo usò per disegnare le api su una stampa da presentare al Papa; la api furono i primi insetti ad essere dipinti come visti al microscopio. Il principe Cesi, inoltre, cominciò a pubblicare i suoi grandi disegni per produrre un testo sulle api, Apiarium, che era catalogato con un indice che poteva essere consultato. Egli intervenne sul testo, mise ogni affermazione su una pagina di note diversa e scrisse note addizionali ai margini e morì, purtroppo, prima di aver terminato l’opera. Il suo lavoro può ancora oggi essere ammirato all’Accademia di Roma.